SCORCI DEL MIO GIARDINO
venerdì 31 maggio 2013
giovedì 30 maggio 2013
gnomicidio
"Maltratta i nanetti da giardino". Ikea accusata di gnomicidio
Bufera sul colosso svedese per il video pubblicitario sui nuovi mobili da gardening. I consumatori inglesi si sono letteralmente infuriati
Giovedì, 30 maggio 2013 - 09:05:00
A infuriarsi, guardacaso, sono soprattutti gli inglesi, grandi appassionati di gardening. Al centro delle polemiche c'è il cortometraggio per la 'campagna d'estate', nato per presentare i nuovi arredi da giardino e finito invece sul banco degli imputati con l'accusa di 'gnomicidio'. Come scrive il Daily Mail il popolo della Gran Bretagna accusa Ikea di aver mostrato con una certa maligna soddisfazione ''maltrattamenti sui nani da giardino''.
Nel video si vede una famigliola che vuole far posto in giardino ai nuovi mobili Ikea e quindi cerca di liberarsi in tutti i modi degli gnomi, principali abitatori. Si scatena così una guerra all'ultimo "sangue" tra i nanetti e gli umani: pompe d'acqua usate come idranti, calci, bastonate, lanci contro lo steccato, fino alla distruzione fisica (in mille pezzi) degli adorabili vecchietti.
Risultato? Decine di persone hanno telefonato all'Autority per la pubblicita' (Asa) chiedendo la rimozione del video. L'Autority ha ammesso che ''alcune persone hanno ritenuto le immagini 'stressanti' '', ma non ha ritenuto di procedere oltre.
Pronta la replica dell'azienda, che non ha nascosto un pizzico di ironia: ''Pensiamo che l'intento del trailer fosse quello di divertire... - ha detto il responsabile marketing - e possiamo confermare che nessuno gnomo è stato maltrattato durante la lavorazione grazie agli specialisti di effetti speciali di cui ci siamo serviti''.
GUARDA IL VIDEO:
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mercoledì 29 maggio 2013
Alla conquista dell’Everest
Il 29 maggio 1953 Edmund Hillary e Tenzing Norgay raggiungevano la cima della montagna più alta del mondo.
La notizia della conquista della vetta arrivò a Londra appena in tempo per l’incoronazione della nuova regina, Elisabetta II, che così potè celebrare la grandezza dell’impero britannico con ancora più convinzione.
La notizia della conquista della vetta arrivò a Londra appena in tempo per l’incoronazione della nuova regina, Elisabetta II, che così potè celebrare la grandezza dell’impero britannico con ancora più convinzione.
Da allora, 5.600 persone sono riuscite a piantare
una bandierina in cima all’Everest, ma almeno 200 sono morte (tra cui
tre italiani) nel tentativo di farlo.
Voglio ricordare gli sherpa, perchè, grazie a loro sono state possibili queste sfide.
Gli sherpa sono un gruppo etnico delle montagne del Nepal con una popolazione complessiva nel 2002 di 154.622 individui, di cui 129.771 parlavano la lingua sherpa.[1] Per estensione il nome sherpa si applica alle guide ed ai portatori di alta quota ingaggiati per le spedizioni himalayane.
Negli ultimi anni tale termine viene usato per indicare anche i funzionari che preparano gli incontri internazionali tra capi di stato o di governo e che stilano le bozze delle conclusioni. Il loro lavoro è il più oneroso, mentre il merito degli accordi spetta ai governanti. Lo stesso accade nelle spedizioni in alta quota dove gli sherpa trasportano i carichi più pesanti e mettono in sicurezza i percorsi consentendo agli alpinisti di raggiungere le vette.
Molto di frequente, studiando la storia dei popoli, ci si imbatte in queste migrazioni che hanno spinto intere comunità a trovare rifugio tra le montagne dove il clima è più ostile, l'isolamento dal resto del mondo è completo, l'ambiente è permeato dalle ataviche paure delle forze scatenate della natura. Ciò è avvenuto anche per gli sherpa che, dalle regioni del Tibet con un clima relativamente temperato anche se di alta quota, si sono insediati in zone molto più aspre e montagnose della loro patria di origine.
A quella prima lontana migrazione, altre ne sono seguite nel corso dei secoli e anche recentemente, dopo l'occupazione del Tibet da parte dei cinesi (1950 - 1959), migliaia di profughi tibetani che avevano visto distruggere i loro templi ed i loro monasteri dai nuovi occupanti, si sono riversati nella regione del Khumbu dove sono stati accettati dagli sherpa ivi residenti, anche se per il momento non si sono ancora definitivamente integrati.
Gli sherpa, che sono un popolo e non portatori di alta quota, come taluno erroneamente crede, si sono dati da soli questo nome (sherpa o shar - pa = uomini dell'est), per distinguersi dalle altre popolazioni del Nepal provenienti dal Tibet e che i nepalesi, con un sottinteso significato spregiativo, chiamavano bhutia.
Il loro congenito adattamento alle grandi altezze e la circostanza di abitare ai piedi dei colossi himalayani li pose in condizioni di privilegio, nei confronti di altre etnie, allorché si dovettero reclutare i portatori d'alta quota necessari per le prime spedizioni alpinistiche pesanti degli anni cinquanta e sessanta. Il loro carattere socievole, la loro resistenza alla fatica e la specializzazione che essi acquisirono svolgendo tale attività, spiegano la preferenza che a tutt'oggi viene loro data non solo per le spedizioni alpinistiche vere e proprie, ma altresì per svolgere le mansioni di accompagnatori e portatori in occasione dei trek. Tali circostanze chiariscono l'equivoco relativo al significato del loro nome.
Voglio ricordare gli sherpa, perchè, grazie a loro sono state possibili queste sfide.
Sherpa
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Sherpa | |||||
---|---|---|---|---|---|
Famiglia sherpa | |||||
Nomi alternativi | Sharpa | ||||
Luogo d'origine | Tibet orientale | ||||
Popolazione | 150.000 circa[1] | ||||
Lingua | Sherpa | ||||
Religione | Buddismo | ||||
Distribuzione | |||||
|
Negli ultimi anni tale termine viene usato per indicare anche i funzionari che preparano gli incontri internazionali tra capi di stato o di governo e che stilano le bozze delle conclusioni. Il loro lavoro è il più oneroso, mentre il merito degli accordi spetta ai governanti. Lo stesso accade nelle spedizioni in alta quota dove gli sherpa trasportano i carichi più pesanti e mettono in sicurezza i percorsi consentendo agli alpinisti di raggiungere le vette.
Indice |
Origine
Gli sherpa vivono nella zona orientale del Nepal. Per rintracciare la loro origine occorre risalire molti secoli nel passato, quando un primo gruppo etnico che risiedeva nel Tibet orientale decise, non si sa bene sotto effetto di quale spinta, di trasferirsi a sud della catena himalayana. L'origine tibetana degli sherpa appare evidente non solo per i tratti somatici e per le affinità dei linguaggi, ma altresì per la loro cultura e per la loro fede religiosa.Molto di frequente, studiando la storia dei popoli, ci si imbatte in queste migrazioni che hanno spinto intere comunità a trovare rifugio tra le montagne dove il clima è più ostile, l'isolamento dal resto del mondo è completo, l'ambiente è permeato dalle ataviche paure delle forze scatenate della natura. Ciò è avvenuto anche per gli sherpa che, dalle regioni del Tibet con un clima relativamente temperato anche se di alta quota, si sono insediati in zone molto più aspre e montagnose della loro patria di origine.
A quella prima lontana migrazione, altre ne sono seguite nel corso dei secoli e anche recentemente, dopo l'occupazione del Tibet da parte dei cinesi (1950 - 1959), migliaia di profughi tibetani che avevano visto distruggere i loro templi ed i loro monasteri dai nuovi occupanti, si sono riversati nella regione del Khumbu dove sono stati accettati dagli sherpa ivi residenti, anche se per il momento non si sono ancora definitivamente integrati.
Gli sherpa, che sono un popolo e non portatori di alta quota, come taluno erroneamente crede, si sono dati da soli questo nome (sherpa o shar - pa = uomini dell'est), per distinguersi dalle altre popolazioni del Nepal provenienti dal Tibet e che i nepalesi, con un sottinteso significato spregiativo, chiamavano bhutia.
Il loro congenito adattamento alle grandi altezze e la circostanza di abitare ai piedi dei colossi himalayani li pose in condizioni di privilegio, nei confronti di altre etnie, allorché si dovettero reclutare i portatori d'alta quota necessari per le prime spedizioni alpinistiche pesanti degli anni cinquanta e sessanta. Il loro carattere socievole, la loro resistenza alla fatica e la specializzazione che essi acquisirono svolgendo tale attività, spiegano la preferenza che a tutt'oggi viene loro data non solo per le spedizioni alpinistiche vere e proprie, ma altresì per svolgere le mansioni di accompagnatori e portatori in occasione dei trek. Tali circostanze chiariscono l'equivoco relativo al significato del loro nome.
Distribuzione
Risiedono prevalentemente nella regione del Solu-Khumbu a sud dell'Everest e nella valle Rolwaling su una superficie di oltre 6.000 km² (un quarto della Lombardia). Costituiscono un gruppo etnico molto omogeneo non solo perché rimasto isolato dal resto del mondo sino a pochi decenni fa, ma anche in virtù della consuetudine tribale che imponeva matrimoni endogamici di etnia ed esogamici di clan (che sono in numero di 18). Il centro della vita e della cultura sherpa è costituito dalla triade di villaggi di Khunde, Khumjung e Namche Bazar, anche se quest'ultimo è normalmente considerato la capitale morale degli sherpa, grazie alla sua posizione di passaggio obbligato delle antiche carovaniere di un tempo e all'afflusso dei turisti negli ultimi anni.Attività
Sino alla metà del secolo scorso, le uniche fonti di sussistenza erano tre: l'agricoltura, l'allevamento del bestiame ed il trasporto delle merci dal Nepal al Tibet e viceversa. Dopo l'occupazione cinese del Tibet e la quasi contemporanea apertura delle frontiere nepalesi al resto del mondo, tale ultima attività cessò completamente, ma fu sostituita da una nuova forma di guadagno: il turismo. All'inizio fu l'avvicendarsi delle spedizioni alpinistiche lanciate alla conquista delle più alte vette del mondo; in seguito fu il gran numero di escursionisti che ogni anno risalgono la valle del Khumbu per raggiungere il campo base dell'Everest.Ambiente
L'estensione altimetrica degli insediamenti e delle coltivazioni è compresa tra i 2.000 ed i 4.000 metri, in una zona che potremmo chiamare subalpina, caratterizzata da grandi foreste di conifere e di rododendri arborei nella parte inferiore, e con presenza di ampi spazi arbustivi alle quote più alte. Al di sopra dei 4.000 si trova il cosiddetto deserto alpino, con una vegetazione tipica di magri pasti e rari arbusti, dove esistono solo insediamenti stagionali per il pascolo degli armenti. Il clima è rigido, di tipo alpino con forti sbalzi termici diurni. Le condizioni meteorologiche sono determinate dai monsoni, venti stagionali umidi, provenienti dall'oceano indiano, che originano una stagione di abbondanti piogge da giugno a settembre.Cultura
Una delle caratteristiche fondamentali ìnsite alla base della cultura sherpa, è il grande rispetto della dignità dell'Uomo. Anche quando un individuo infrange vistosamente il codice morale, ciò viene considerato come una faccenda che riguarda lui solo e non deve dare motivo, per nessuna ragione, al pubblico disprezzo. Per gli sherpa non è importante avere una personalità eroica, bensì essere miti e prudenti; non conta avere grandi ricchezze, bensì essere disposti a dividerle con chi ha bisogno di aiuto o a dimostrare la propria generosità ed ospitalità in occasione di feste e di manifestazioni religiose. Questi sono gli attributi che riscuotono il consenso della comunità ed aumentano il prestigio dell'individuo.Caste
Presso gli sherpa esiste una distinzione di casta: per gli schiavi liberati ed i loro discendenti (la schiavitù in Nepal venne abolita ufficialmente nel 1926), e per le popolazioni immigrate recentemente dal Tibet, dette khamendeu. Uno sherpa può sedersi a tavola con un khamendeu, ma non può bere dallo stesso bicchiere; il matrimonio di una persona con un khamendeu, degrada automaticamente alla classe inferiore la persona stessa ed i suoi figli.Tratti evolutivi
Questa popolazione presenta i tratti tipici degli andini, ovvero: polmoni particolarmente voluminosi, assenza di iperventilazione, ed una alta concentrazione di emoglobina; tutte caratteristiche che permettono di vivere più facilmente sopra i 3.000 metri di quota, dove l'ossigeno è circa il 70% di quello a livello del mare. Vi è però un dibattito su tali peculiarità: da una parte si propende per una teoria evolutiva, esse dovrebbero essere dovute allo stanziamento di questa popolazione da molto tempo in zone così difficili, dall'altra parte si crede che siano dovute ad uno sviluppo durante l'infanzia e che divengano irreversibili in età adulta.Note
- ^ a b c Ramesh Chandra Bisht, International Encyclopaedia Of Himalayas (in inglese), Mittal Publications, p. 122. 8183242650 ISBN URL consultato il 1 novembre 2011.
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martedì 28 maggio 2013
la casa delle farfalle
LA CASA DELLE FARFALLE - FAENZAquesto è uno dei luoghi in cui mia figlia porta la sua bambina per trascorrere un pomeriggio tra i colori; mi sembra un'ottima alternativa alla tv, e Anna sembra gradire.
La Casa delle farfalle è
un centro ambientale costituito da una serra dove vivono e si
riproducono centinaia di farfalle tropicali. Ci sono molteplici varietà
di farfalle dai mille colori provenienti dall'Africa, l'America, l'Asia e
l'Australia.
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RAVENNA con i suoi mosaici |
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mi riprongo di tornare a visitare Ravenna |
Ravenna è divenuta, grazie al suo Re Teodorico, una delle più importanti città romano-barbariche, lasciando innumerevoli testimonianze come la splendida Basilica, il Battistero e il Mausoleo.
L’armonia dei moduli costruttivi classici si fonde con il fasto e lo splendore dei marmi preziosi e delle ricche decorazioni bizantine. Accanto ad esse, splendide sono le testimonianze architettoniche del dominio veneziano di Piazza del Popolo.
domenica 26 maggio 2013
Amicizia
Accade raramente ma...accade: una conoscenza superficiale può passare da qualche scambio informale di battute, un caffè insieme, la scoperta di molti argomenti in comune, il piacere di sentirsi, le chiacchierate telefoniche; così nascono i regali di Natale,"le cene dell'Epifania", i compleanni, i "mercoledì" e nasce un'amicizia. Con lei mi sento molto libera, mai giudicata, non sento il bisogno di mettere filtri o barriere, e, elemento fondamentale, NON MI ANNOIO MAI. Ci sono rapporti decennali che si sono arenati nella banalità e, pur rimanendo l'affetto, hanno perso la "verve"; ecco, questa amicizia è una ventata di aria fresca. Voglio bene alle mie amicizie un po' "ammuffite", fanno parte della mia vita ma...vuoi mettere un sepolcrale:" come al solito, menomale che è venerdì" ad un paio d'ore spaziando dal gossip alla vita privata alla politica? E ultimo ma non ultimo, se hai bisogno C'E'.Fai un pieno d'energia...quindi lo inserisco nella "TOPTEN" di PLEASURE...e...GRAZIE ANTONELLA.
o
Il vostro amico è il vostro bisogno saziato.
E' il campo che seminate con amore e mietete con riconoscenza. E' la vostra mensa e il vostro focolare. Poiché, affamati, vi rifugiate in lui e lo ricercate per la vostra pace. Quando l'amico vi confida il suo pensiero, non negategli la vostra approvazione, né abbiate paura di contraddirlo. E quando tace, il vostro cuore non smetta di ascoltare il suo cuore: Nell'amicizia ogni pensiero, ogni desiderio, ogni attesa nasce in silenzio e viene condiviso con inesprimibile gioia. Quando vi separate dall'amico non rattristatevi: La sua assenza può chiarirvi ciò che in lui più amate, come allo scalatore la montagna è più chiara della pianura. E non vi sia nell'amicizia altro scopo che l'approfondimento dello spirito. Poiché l'amore che non cerca in tutti i modi lo schiudersi del proprio mistero non è amore, ma una rete lanciata in avanti e che afferra solo ciò che è vano. E il meglio di voi sia per l'amico vostro. Se lui dovrà conoscere il riflusso della vostra marea, fate che ne conosca anche la piena. Quale amico è il vostro, per cercarlo nelle ore di morte? Cercatelo sempre nelle ore di vita. Poiché lui può colmare ogni vostro bisogno, ma non il vostro vuoto. E condividete i piaceri sorridendo nella dolcezza dell'amicizia. Poiché nella rugiada delle piccole cose il cuore ritrova il suo mattino e si ristora.
Tratto da
"Il Profeta" di Kahlil Gibran
|
Si deve avere un'amico invisibile
a cui parlare nelle ore silenziose della notte e durante le passeggiate nei parchi. K. Gibran |
UN ABBRACCIO GLORIA
o
giovedì 23 maggio 2013
Kandinsky
Ho notato con MOLTO PIACERE che il post PLEASURE è piaciuto.
Forse abbiamo tutti bisogno di regalarci qualche momento piacevole, di raccontarci cosa ci fa stare bene e magari prendere spunto per inventarci attimi di gioia; allora vi propongo un appuntamento: una volta al mese raccontiamoci le coccole che ci siamo fatti; sarà un incontro gioioso per darci un po' di serenità.
Per me oggi "the plasure" è stato andare al mercato con la mia mamma a comprare i fiori.
Vi aspetto.Un abbraccio a tutti.
Gloria
Forse abbiamo tutti bisogno di regalarci qualche momento piacevole, di raccontarci cosa ci fa stare bene e magari prendere spunto per inventarci attimi di gioia; allora vi propongo un appuntamento: una volta al mese raccontiamoci le coccole che ci siamo fatti; sarà un incontro gioioso per darci un po' di serenità.
Per me oggi "the plasure" è stato andare al mercato con la mia mamma a comprare i fiori.
Vi aspetto.Un abbraccio a tutti.
Gloria
mercoledì 22 maggio 2013
don Gallo
CIAO DON GALLO |
— Ultime LaPresse
La morte di Don Gallo, “il prete degli ultimi”
22 maggio 2013
Genova, 22 mag. (LaPresse)
– Lo hanno definito “il prete scomodo”, colui “che ha dato un nome a
chi non l’aveva” dice oggi Don Luigi Ciotti, “una figura di
straordinario rilievo” per la politica, l’associazionismo, la società
civile, di cui da oggi “gli ultimi” che lui ha amato e difeso dovranno
fare a meno di lui. Don Gallo, 84 anni, prete di strada, è morto oggi a
Genova, alle 17.45, circondato dall’affetto della Comunità di San
Benedetto al Porto, da lui fondata. Ieri le sue condizioni di salute si
erano aggravate, tanto da spingere la stessa comunità a chiedere
“tranquillità e quiete” per il sacerdote, monitorato dall’assistenza
medica domiciliare.
No global, pacifista, controcorrente, Don Gallo fin da giovanissimo si avvicina a Don Bosco, sviluppando un metodo educativo simile all’esperienza di Don Milani. Inizia il noviziato nel 1949 a Varazze, in Liguria, proseguendo poi a Roma il liceo e gli studi di filosofia. Nel 1953 viene mandato in Brasile, dove compie studi teologici; la dittatura lo costringe a ritornare in Italia l’anno dopo. Prosegue i suoi studi in Piemonte, a Ivrea, e viene ordinato sacerdote nell’estate del 1959.
L’anno successivo è nominato cappellano alla nave scuola della Garaventa, riformatorio per minori: qui cerca di introdurre un’impostazione educativa diversa, dove la fiducia prende il posto dei metodi unicamente repressivi. I superiori salesiani, però, dopo tre anni lo rimuovono senza spiegazioni. Un duro colpo per Gallo, che lascia la congregazione e chiede di entrare nella diocesi genovese. “Non potevo vivere la vocazione sacerdotale”, spiegò il presbitero. Qui interviene il cardinale Siri, arcivescovo di Genova, che lo invia a Capraia per fare il cappellano del carcere.
Si sposta alla parrocchia di Carmine, dove si schiera dalla parte degli emarginati e dove rimane fino al 1970, anno in cui Siri lo trasferisce di nuovo a Capraia. Il motivo sarebbe un incidente nell’estate del 1970, in cui dopo un’omelia domenicale, è accusato di essere comunista. La curia decide così il suo allontanamento. La città protesta, ma la curia non torna indietro. Don Gallo rinuncia a tornare a Capraia.
Viene accolto dal parroco di San Benedetto al Porto e lì nel 1975, insieme a un piccolo gruppo, fa nascere la sua comunità di base, la Comunità di San Benedetto al Porto. Da quel momento si è sempre impegnato per la pace e il recupero degli emarginati, chiedendo la legalizzazione delle droghe leggere. Negli ultimi anni Don Gallo ha espresso le sue preferenze politiche, sostenendo Marco Doria alle primarie del centrosinistra di Genova e Nichi Vendola come candidato premier. Il pensiero mai banale di Don Gallo rimane nei suoi tanti libri, l’ultimo intitolato “In cammino con Francesco”. Grande appassionato di musica, fu grande amico di Fabrizio De André. Il cantautore genovese una volta gli disse: “Ti sono amico perché sei un prete che non mi vuol mandare in Paradiso per forza”.
No global, pacifista, controcorrente, Don Gallo fin da giovanissimo si avvicina a Don Bosco, sviluppando un metodo educativo simile all’esperienza di Don Milani. Inizia il noviziato nel 1949 a Varazze, in Liguria, proseguendo poi a Roma il liceo e gli studi di filosofia. Nel 1953 viene mandato in Brasile, dove compie studi teologici; la dittatura lo costringe a ritornare in Italia l’anno dopo. Prosegue i suoi studi in Piemonte, a Ivrea, e viene ordinato sacerdote nell’estate del 1959.
L’anno successivo è nominato cappellano alla nave scuola della Garaventa, riformatorio per minori: qui cerca di introdurre un’impostazione educativa diversa, dove la fiducia prende il posto dei metodi unicamente repressivi. I superiori salesiani, però, dopo tre anni lo rimuovono senza spiegazioni. Un duro colpo per Gallo, che lascia la congregazione e chiede di entrare nella diocesi genovese. “Non potevo vivere la vocazione sacerdotale”, spiegò il presbitero. Qui interviene il cardinale Siri, arcivescovo di Genova, che lo invia a Capraia per fare il cappellano del carcere.
Si sposta alla parrocchia di Carmine, dove si schiera dalla parte degli emarginati e dove rimane fino al 1970, anno in cui Siri lo trasferisce di nuovo a Capraia. Il motivo sarebbe un incidente nell’estate del 1970, in cui dopo un’omelia domenicale, è accusato di essere comunista. La curia decide così il suo allontanamento. La città protesta, ma la curia non torna indietro. Don Gallo rinuncia a tornare a Capraia.
Viene accolto dal parroco di San Benedetto al Porto e lì nel 1975, insieme a un piccolo gruppo, fa nascere la sua comunità di base, la Comunità di San Benedetto al Porto. Da quel momento si è sempre impegnato per la pace e il recupero degli emarginati, chiedendo la legalizzazione delle droghe leggere. Negli ultimi anni Don Gallo ha espresso le sue preferenze politiche, sostenendo Marco Doria alle primarie del centrosinistra di Genova e Nichi Vendola come candidato premier. Il pensiero mai banale di Don Gallo rimane nei suoi tanti libri, l’ultimo intitolato “In cammino con Francesco”. Grande appassionato di musica, fu grande amico di Fabrizio De André. Il cantautore genovese una volta gli disse: “Ti sono amico perché sei un prete che non mi vuol mandare in Paradiso per forza”.
Pubblicato il 22 maggio 2013
© Copyright LaPresse – Riproduzione riservata
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